Dal cibo per il corpo al cibo per l'anima il passo è breve.
Il mio cibo per l'anima attualmente è costituito da letture quali "Artikel und Aspekt" di Elizabeth Leiss, "Constructing a Language" di Michael Tomasello, ma anche da un poco di letteratura tedesca contemporanea e perchè no, qualche articolo interessante che la frequentazione pur sporadica di blog letterari porta alla mia attenzione.
A quest'ultima categoria di cibarie appartiene un
articolo piuttosto interessante di Federico Bertoni, apparso su "Between" e reperibile su
Le Parole e le Cose. Titolo dell'articolo: "L'educazione letteraria: Appunti di un insegnante del XXI secolo".
Spunti ed osservazioni interessanti:
“È questo, credo, il senso vero
che dovremmo ancora cercare nella
letteratura e nell’insegnamento
letterario, al di là delle battaglie di
retroguardia o delle
difese d’ufficio della cultura umanistica come
materiale da
costruzione dei buoni cittadini: dissenso, inquietudine,
senso
critico, decostruzione di stereotipi e schemi acquisiti,
ricerca
incessante sulla forma viva della lingua, perché «è
scrittore − diceva
Barthes − colui per il quale il linguaggio
costituisce un problema, che
ne sperimenta la profondità, non la
strumentalità o la bellezza» (1985:
42).” (pag. 17)
La diagnosi dell'odierna università
italiana si articola per questi punti: “[...] la trasformazione
dell’università in una consumer oriented
corporation, soggetta a
forme di valutazione e accreditamento molto più
simili a quelle
delle agenzie di rating che a quelle di una comunità
scientifica; la
marginalizzazione di docenti e ricercatori a vantaggio dei
burocrati,
o (più perversamente) la riconversione dei docenti stessi
in
amministratori; il crescente potere di rettori-tecnocrati senza
slancio
politico, intenti solo ad amministrare, a raccogliere fondi o
a competere
con gli altri atenei; i tempi dell’insegnamento sempre
più frenetici,
impacchettati nelle ore-credito e nei semestri; la
formazione degli
studenti come prodotto e non come processo, secondo
un modello di
«professionalizzazione» e di spendibilità immediata
delle conoscenze;
l’eclissi dell’idea stessa su cui si fondava
l’università tradizionale, cioè
la cultura, e la sua sostituzione
con il termine-ombrello eccellenza, segno
vuoto senza referente,
simulacro di un’idea senza contenuto.” (pag. 19)
“«l’università deve trovare un
nuovo linguaggio in cui rivendicare il suo
ruolo come luogo di
educazione superiore – un ruolo che niente a
livello storico
presuppone come inevitabile e necessario». In questo modo,
l’università può diventare «un luogo tra gli altri in cui porre
la
questione dello stare-insieme», un
luogo in cui «un pensiero si
sviluppa accanto a un altro pensiero,
in cui pensare è un processo
condiviso ma privo di unità e
identità. […] L’università in rovina si
presenta
come un’istituzione in cui la natura incompleta e
interminabile
della relazione pedagogica ci ricorda che “pensare
insieme” è un
processo fondato sul dissenso», sull’eterogeneità delle
voci, su
un dialogismo di tipo bachtiniano (Readings 1996: 125, 127 e
192).”
(pag. 19-20)